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Fede
e femminismo s’intrecciano nella storia di Maria Innocenza Macrina,
“la prima operaia” di Fondazione Betania
24
agosto 2020 11:23
di CLAUDIA FISCILETTI
La Copertina del libro
scritto da Maria Procopio
Maria Innocenza Macrina è
il simbolo di una Fede viva,
che non si ferma dinanzi le difficoltà ma va avanti senza essere
piegata dalle intemperie della vita. Maria
Procopio, invece, è
colei che vuole raccontare una storia che in molti non conoscono,
vuole valorizzare il lavoro di una donna che per molto tempo è stato
messo in secondo piano dall’ambiente clericale maschile in cui si
muoveva. La Fede da una parte e il femminismo dall’altra,
l’’eroina’ della storia e la scrittrice, Maria Innocenza
Macrina e Maria Procopio.
Il “racconto da donna della vita di un’altra donna”, così
la sociologa Renate Siebert scrive nella prefazione
del libro di Maria Procopio ‘La prima operaia. Storia di
una donna che ha creduto’ (edito da Rubbettino), in cui si
ripercorre la nascita dell’Opera Pia ‘In Charitate
Christi’, oggi Fondazione Betania, che dal secondo dopoguerra
ha accolto e aiutato donne, bambini, anziani di Catanzaro e provincia
versanti in situazioni di difficoltà, grazie all’iniziativa di
Maria Innocenza e delle sue consorelle.
Nell’introduzione l’autrice, psicologa-psicoterapeuta che ha
lavorato fino al maggio 2019 presso il Centro di Riabilitazione di
Fondazione Betania, rende chiare le motivazioni che l’hanno spinta
a scrivere il libro da “donna con un pensiero laico e con un
vissuto di pratica politica, prima all’interno di un partito e,
successivamente, nell’associazionismo femminista”, e spiega:
“Lavorando sulla storia mi sono resa conto che Maria Innocenza e le
sue consorelle, nonostante la loro grandezza, nella memoria
‘ufficiale’ sono state relegate nell’ombra o, tutt’al più,
ridimensionate a un ruolo secondario. E invece si deve a loro la
storia, sono loro che hanno creato la prima casa a Gasperina e reso
possibile la nascita della ‘In Charitate Christi’ a Catanzaro.
Senza la loro presenza e il loro impegno di vita non sarebbe stato
possibile aprire la struttura di Fondachello e dare l’avvio a tutto
quello che di grande poi è venuto dopo. C’è un debito di
gratitudine verso di loro che deve essere riconosciuto”.
Un
lavoro di ricerca che Maria Procopio ha iniziato nel 2002, anno della
scomparsa di Maria Innocenza, e poi ripreso nel 2019,
raccogliendo testimonianze
di chi l’ha conosciuta e ha vissuto in prima persona la sua opera
di carità durante
anni in cui la provincia di Catanzaro e l’Italia più in generale,
viveva una situazione di povertà, accentuata tra i ceti meno
abbienti.
Ne
emerge il ritratto di una donna che, con la sua autorevolezza e
determinazione, ha saputo raccogliere attorno a sé ragazze che, come
Maria Innocenza, hanno volto la loro vita al prossimo, mosse da un
solido spirito di carità. Femministe
ante litteram,
rivoluzionarie, che si muovono in un periodo -il secondo dopoguerra-
dominato ancora da leggi patriarcali, riuscendo a mettere in atto un
esercizio di libertà, nonostante la ‘Bersagliera’ (come era
soprannominata Maria Innocenza) tendesse a non volersi mettere in
mostra. Mai, infatti, si è presa il merito per essere l’iniziatrice
dell’Opera Pia, che sin dagli anni ‘40 ha suscitato l’interesse
di alcuni sacerdoti.
Interesse
che poi ha portato ad una conseguente
istituzionalizzazione dell’opera relegando Maria Innocenza e le sue
consorelle ad un ruolo secondario.
Sofferenti per essere tenute nell’ombra ma dignitose a tal punto da
non dire nulla, non si sono lasciate distrarre da questioni materiali
e non hanno perso di vista il loro scopo: mettersi a disposizione del
prossimo.
Il
libro, poi, si apre con uno
scritto autografo di Maria Innocenza.
Dalle sue parole emerge lo spirito con cui ha condotto la sua intera
vita e la forza che l’ha animata nell’aiutare il prossimo: “Io
Macrina M. Innocenza sono il primo operaio che il Signore ha chiamato
per lavorare un suo terreno. Man mano che passano i giorni se ne
aggiungono sempre di più. Il terreno è stato coltivato, gli alberi
son divenuti giganteschi. Lo ringrazio di tanta sua bontà e prego
che mi conduca su la strada che a Lui piace. Ora sono di 83 e non
desidero altro che l’amore e il bene di tutti”.
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